Raccogliamo volentieri e rendiamo pubblico il contributo estremamente prezioso che l’avvocato Francesco Anglani (partner dello Studio BonelliErede) ha portato in occasione del Roadshow celebrato a Pescara da ANIP-Confindustria, focalizzandosi sul tema degli illeciti nel campo degli appalti attraverso l’analisi di una casistica estremamente rappresentativa degli interventi dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato.
L’obiettivo finale è quello di promuovere sempre di più, nel comparto dei Servizi, i temi di Accountability and Fair competition, non prima di aver passato in rassegna gli strumenti attualmente messi in campo dalla autorità competenti per sanzionare e/o prevenire i comportamenti che minano la libera concorrenza alterando il mercato. L’analisi del tema si è sviluppata attraverso quattro punti: Gli illeciti antitrust nel settore degli appalti; Forme di cooperazione a livello istituzionale nel settore degli appalti; Rischi antitrust nel settore degli appalti; programmi di compliance antitrust come strumento di accountability nel settore degli appalti.
Gli illeciti antitrust nel settore degli appalti
Il settore degli appalti presenta profili che assumono rilievo dal punto di vista della tutela della concorrenza, tali da giustificare un intervento sempre più attivo da parte dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (“AGCM” o “Autorità”) nel corso degli ultimi anni. L’esame della recente prassi decisionale dell’Autorità conferma come sempre più spesso quest’ultima scelga di intervenire per sanzionare i comportamenti collusivi posti in essere dalle imprese, anche quelle di dimensioni ridotte, al fine di alterare il corretto dispiegarsi del confronto competitivo in sede di gara.
Nei casi passati al vaglio dell’Autorità, dunque, si riscontrano diverse forme di coordinamento illecito tra le imprese partecipanti alla gara, mediante pratiche finalizzate ad evitare il confronto competitivo, quali a titolo esemplificativo. Si pensi al boicottaggio delle gare, la spartizione dei lotti posti a gara, un utilizzo illecito dello strumento del subappalto o la presentazione di offerte di appoggio, comminando alle imprese colluse ingenti sanzioni pecuniarie.
A tal riguardo è interessante osservare come nell’ambito delle recenti ’istruttorie attualmente pendenti dinanzi all’Autorità in relazione alla gare FM4 (caso I/808)Consip – dove, come noto, l’accusa è era quella di aver coordinato le rispettive strategie di partecipazione alla gara seguendo uno schema a scacchiera – siano le ipotesi accusatorie abbiano state stigmatizzate o con particolare veemenza alcune varie condotte illecite sotto il profilo antitrust e in particolare: l’esistenza di una fitta rete di partecipazioni incrociate tra alcune delle società partecipanti alla gara FM4, che ha consentito alle stesse di scambiarsi informazioni sensibili in merito alle rispettive strategie di gara; un utilizzo distorto dell’istituto del subappalto, strumentalizzandolo per finalità compensative in chiave anticoncorrenziale; nel corso delle indagini, infatti, sono state acquisite agli atti alcune bozze di accordo dove le parti, in sostanza, stabilivano di conferire dei subappalti in cambio della mancata partecipazione dell’impresa subappaltatrice alla gara.
Infine la presenza di ATI Sovrabbondanti costituite senza seguire alcun razionale economico ed il cui unico fine era quello di alterare il confronto competitivo.
Forme di cooperazione a livello istituzionale nel settore degli appalti
«La circostanza che l ’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato abbia deciso di scrutinare con sempre maggiore attenzione il comportamento delle imprese nell’ambito delle gare d’appalto – prosegue il legale – è confermata da tre interventi istituzionali: il primo è il ‘ Vademecum per le stazioni appaltanti (2013)’, ovvero un documento consultabile online che individua una lista di indizi sintomatici della realizzazione di un illecito antitrust, nell’ottica di favorire un ruolo attivo di “sentinella” da parte delle stazioni appaltanti, sollecitate a segnalare eventuali fenomeni distorsivi all’Autorità. Il secondo è un ‘Protocollo d’intesa con l’ANAC (2016)’, che ha introdotto una serie di forme di cooperazione tra le due autorità . Il terzo fa riferimento ai Protocolli di intesa con le procure della Repubblica di Roma e di Milano (2018), i quali individuano una cornice operativa per dare attuazione a scambi di informazioni attinenti indagini, procedimenti penali (aventi ad oggetto il reato di turbata libertà degli incanti e il reato di astensione dagli incanti) ed amministrativi di rispettiva competenza».
Rischi antitrust nel settore degli appalti
I principali rischi connessi all’avvio di un’istruttoria antitrust avente ad oggetto il coordinamento tra imprese nell’ambito di gare pubbliche sono: l’irrogazione di una sanzione amministrativa pecuniaria che può giungere sino al 10% del fatturato dell’impresa che ha posto in essere l’illecito. Poi il danno reputazionale connesso ad un eventuale provvedimento di condanna da parte dell’Autorità; eventuali azioni civili risarcitorie da parte dei soggetti danneggiati dalla condotta illecita. Infine l’avvio di procedimenti penali a carico dei soggetti che hanno posto in essere l’intesa, in quanto le fattispecie di bid rigging integrano anche una fattispecie di turbativa d’asta ai sensi dell’art. 353 c.p.
In aggiunta ai tradizionali rischi connessi al procedimento innanzi l’AGCM appena menzionati, nel settore degli appalti pubblici, occorre segnalare quello relativo alla possibilità per le stazioni appaltanti di risolvere i contratti in essere e di escludere gli operatori condannati dall’Autorità dalla partecipazione a future gare pubbliche per un periodo pari a tre anni dall’accertamento dell’illecito. Tale circostanza potrebbe avere effetti persino più gravi della sanzione pecuniaria per quelle società che pongono al centro del proprio business la partecipazione a gare pubbliche.
Infatti, innovando rispetto al passato, il Nuovo Codice Appalti ha inserito tra i motivi di esclusione dalle gare pubbliche i “gravi illeciti professionali” che siano tali da mettere in dubbio l’integrità o l’affidabilità dell’impresa partecipante alla gara. Inoltre, giova evidenziare che l’esclusione di un’impresa da una gara pubblica è una scelta discrezionale della stazione appaltante che può intervenire anche prima che il provvedimento dell’AGCM diventi esecutivo. La mera impugnazione di tale provvedimento non è dunque considerata sufficiente ad impedire l’esclusione dalla gara o la risoluzione del contratto, salvo il caso in cui il giudice sospenda in via cautelare il provvedimento o lo annulli con sentenza.
Tuttavia, l’esclusione non è automatica, ma è necessario che il provvedimento sia motivato e preceduto da un’adeguata istruttoria della stazione appaltante, circa l’affidabilità e l’integrità dell’impresa responsabile dell’illecito. L’impresa può dunque provare di essersi prontamente attivata per risarcire il danno causato dall’illecito e/o di aver adottato provvedimenti di carattere organizzativo idonei a prevenire ulteriori illeciti.
Nell’ambito della valutazione della stazione appaltante si segnala che può rivestire un ruolo determinante l’attuazione di programmi di compliance e di strumenti di self-cleaning idonei a prevenire illeciti della specie di quello verificatosi in quanto, se la stazione appaltante ritiene che le misure adottate sono adeguate, l’impresa non è esclusa dalla procedura e/o il contratto stipulato non viene risolto.
I programmi di compliance antitrust come strumento di accountability nel settore degli appalti
Alla luce di quanto detto diviene sempre più importante, soprattutto per le imprese che fanno della partecipazione alle gare pubbliche un elemento centrale della propria attività, ispirare i propri comportamenti al pieno rispetto della normativa antitrust, valutando con estrema attenzione quali condotte potrebbero essere considerate illegittime.
In quest’ottica, l’adozione o l’aggiornamento di un programma di compliance antitrust efficace ed adeguato non solo riduce e previene il rischio di commettere in futuro illeciti antitrust da parte dell’impresa ma mitiga anche il rischio sanzionatorio per le infrazioni già commesse e oggetto di un’istruttoria antitrust (consentendo all’impresa di beneficiare di una riduzione dell’importo della sanzione antitrust).
Sul tema, peraltro, l’AGCM è recentemente intervenuta adottando delle Linee Guida apposite per valutare il valore attenuante, ai fini del calcolo della sanzione, connesso all’avvenuta implementazione di un programma di compliance antitrust.
In termini di accountability, dunque, l’adozione di un programma di compliance antitrust dimostra l’impegno dell’impresa alla diffusione della cultura antitrust e il conseguente contributo a realizzare un mercato sano in cui le imprese possano competere secondo merito, a beneficio dei consumatori e del buon funzionamento dell’economia nel suo complesso.
Un simile impegno può contribuire senz’altro a rafforzare la reputazione delle imprese e del brand, elevando così il rispetto di una normativa specifica a valore aziendale, così come è accaduto con riguardo ad altre discipline – come quelle a tutela dell’ambiente, della sicurezza e del benessere dei lavoratori – il cui rispetto viene sempre più spesso esaltato da imprenditori illuminati anche per dare lustro al proprio marchio e promuovere il valore etico dell’attività di impresa.