di Luciano Stella, MUST & Partners
In questi giorni è in discussione in Italia la modifica del Codice appalti (D.lgs. 50/2016) mediante il nuovo disegno di legge recante delega al Governo per la semplificazione, la razionalizzazione, il riordino, il coordinamento e l’integrazione della normativa in materia di contratti pubblici. Si prospetta l’occasione di rimediare alle carenze della normativa nazionale e adeguare il quadro giuridico italiano alle direttive europee del 2014 sui contratti pubblici, vale a dire la direttiva 2014/23/UE sull’aggiudicazione dei contratti di concessione, la direttiva 2014/24/UE sugli appalti pubblici e la direttiva 2014/25/UE sulle procedure d’appalto degli enti erogatori nei settori dell’acqua, dell’energia, dei trasporti e dei servizi postali.
La necessità di uniformare la legislazione nazionale alle direttive del 2014 è avvertita anche alla luce della procedura di infrazione aperta dalla Commissione europea a gennaio 2019 in cui si lamenta, tra i vari punti, la non conformità al quadro comunitario delle disposizioni in materia di subappalto contenute nel D.lgs. 50/2016.
Premessa quindi l’esigenza di un adeguamento del Codice appalti italiano alle direttive europee del 2014, è opportuno sottolineare come la stessa normativa comunitaria presenti dei profili incerti e di dubbia applicabilità nella disciplina dei contratti pubblici.
Nella direttiva 2014/24/UE si definisce la nozione di appalto di lavori con riferimento, per la prima volta, al settore dei servizi, ed in particolare al settore dei servizi di gestione immobiliari. Il richiamo avviene però in penombra, in un considerando e non nell’articolato, senza alcuna ulteriore specificazione. È evidente quindi la necessità di dare la giusta dignità a livello europeo ad un settore, quale quello dei servizi, introducendo una regolamentazione specifica nell’affidamento dei contratti pubblici che differenzi tra contratti di lavoro, servizi e forniture affinché si tenga conto delle rispettive peculiarità.
Il criterio di aggiudicazione dell’appalto definito dal legislatore europeo è quello dell’offerta economicamente più vantaggiosa (OEPV) individuata sulla base del prezzo o del costo, seguendo un approccio costo/efficacia, quale il costo del ciclo di vita e può includere il miglior rapporto qualità/prezzo, valutato sulla base di criteri, quali gli aspetti qualitativi, ambientali e/o sociali. Allo stesso tempo, al fine di incoraggiare maggiormente l’orientamento alla qualità degli appalti pubblici, gli Stati membri possono vietare l’uso del prezzo o del costo come unico criterio di aggiudicazione o limitarne l’uso a determinate categorie di amministrazioni aggiudicatrici o a determinati tipi di appalto. Nella loro formulazione attuale tali disposizioni lasciano l’utilizzo del criterio del minor prezzo alla discrezionalità degli Stati membri, non impedendo del tutto il ricorrere di fenomeni di dumping salariale.
Per questi motivi, l’esigenza di supportare la miglior qualità degli appalti pubblici è avvertita dalle maggiori associazioni di categoria europee. Sia European Business Services Alliance (l’Alleanza che riunisce le associazioni europee che operano nel settore dei servizi), che European Cleaning and Facility Services Industry (l’Associazione europea che riunisce le aziende del cleaning e del facility dei diversi Stati membri) sostengono la necessità, quale priorità per la prossima legislatura europea, di superare il ricorso al solo criterio del prezzo nell’aggiudicazione degli appalti, favorendo l’utilizzo di criteri qualitativi.