Intervento di Lorenzo Mattioli sulla rivista ASIMINFORMA
Il welfare aziendale rappresenta oggi uno degli strumenti più efficaci per far fronte alle richieste dei lavoratori, andando a colmare le lacune e la lentezza delle politiche di assistenza statali. Ci riferiamo, in questo caso, a quei servizi fondamentali di natura sanitaria erogati dai Fondi come il Fondo ASIM, che sono uno specchio fedele dei settori economici di riferimento, offrendoci una fotografia precisa della platea di utenti e delle sue molteplici necessità.
Il comparto dei Servizi Integrati rappresenta, oggi più che mai, un terreno di sfida per implementare il welfare: il motivo, a mio avviso, risiede innanzitutto nell’importanza che il settore riveste nell’ambito dell’economia del Paese in termini di prodotto interno lordo, poi nella grande quantità di personale coinvolto (con un potenziale di 2,5 milioni di lavoratori), e – ultimo ma non meno importante – nella necessità di tutelare e valorizzare l’impiego nel Labour intensive. In uno degli ultimi rapporti dedicati al tema (in particolare quello dell’osservatorio sul mercato del Lavoro in Italia elaborato dal Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali di aprile 2019) viene fuori un quadro estremamente interessante per la sovrapponibilità delle dinamiche generali con quelle del nostro comparto, a conferma di quanto era già emerso un paio di anni fa da uno studio che ANIP-Confindustria aveva condotto tra le sue aziende, soprattutto considerando tre fattori:
1. 1. in Italia il trend vede una costante migrazione di lavoratori verso il Terziario;
2. 2. in relazione alla composizione occupazionale, si registra una diminuzione delle professioni qualificate (oltre 220.000 unità in meno), mentre aumentano più del doppio quelle non qualificate, con conseguente spostamento verso il basso anche della massa salariale;
3. 3. crescita della presenza femminile (+503.000 rispetto al 2008), interpretata dallo studio in oggetto, conseguenza di una maggiore disponibilità (non sempre volontaria) ad accettare forme di riduzione dell’orario di lavoro come il part-time.
Quindi, elementi quali la crescita di occupazione nel terziario (dunque il mondo dei servizi nel suo complesso), occupazione non qualificata e contratti part-time con grande presenza femminile sono, per noi che conosciamo le caratteristiche di ogni singolo iscritto al Fondo, quelli che ci consentono di dire che il comparto del Labour intensive è uno spaccato più che rappresentativo del mondo del lavoro nel nostro Paese, e come tale merita impegno, attenzione e, soprattutto, innovazione. In questo articolo si cercherà di capire come migliorare ulteriormente il welfare nella sua più larga accezione di integrazione al reddito, ipotizzando il più ampio coinvolgimento degli attori del sistema: associazioni di imprese e sindacati, enti bilaterali, istituzioni ed enti privati che non sempre si incontrano armoniosamente in sede di contrattazione collettiva. Per questo, in considerazione della sempre più marcata diffusione del welfare aziendale, occorre prendere in considerazione gli istituti della contrattazione di secondo livello e di quella di impresa. Dalla cornice generale, dunque, si arriva alla singola azienda – o ad una rete di imprese – che meglio può decidere, insieme ai lavoratori, quali siano le misure di welfare più adeguate e, tornando al concetto iniziale, più innovativo da applicare. Non è da escludere che, in futuro, il welfare contrattato in sede locale diventi ispirazione per quello nazionale, per sua definizione più rigido e – consentitemi – complesso da gestire in virtù delle varie istanze che lo animano. Sappiamo tutti quanto sia oggi complesso elevare di pochi euro la remunerazione nel contesto di un contratto collettivo, mentre siamo ben consapevoli che si potrebbero bypassare lungaggini e difficoltà guardando al welfare e, più in generale, ai cosiddetti “benefit”.
È comune patrimonio di quanti si occupano di relazioni industriali che sia l’ambito aziendale quello in cui meglio si possono progettare misure di fidelizzazione attraverso benefit personali e familiari che migliorano il clima in ambito lavorativo, la produttività, il senso di appartenenza, o interventi di conciliazione famiglia e lavoro, previdenza complementare e tutto ciò che possa essere percepito come un concreto aiuto al reddito (buoni pasto, assistenza sanitaria, fiscale, per il tempo libero, lo studio…).
Tutto questo deve stimolare un cambiamento nelle relazioni e nei rapporti sindacali – industriali o istituzionali, stimolando organismi come il Fondo ASIM ad una collaborazione con soggetti complementari (imprenditoriali e consulenziali) che oggi offrono e ampliano la gamma di servizi progettati per le aziende di concerto con i lavoratori e le imprese stesse. Questa, oggi, è una strada da percorrere, visto che le innovazioni che non arrivano dall’alto, prima o poi nascono e si diffondono ai livelli superiori proprio partendo dal basso, dove si riesce meglio ad intercettare le esigenze dei fruitori dei “prodotti” di welfare. Siamo nell’epoca dei cosiddetti flexible benefit: un vero e proprio carrello della spesa per i lavoratori, un paniere di beni e servizi inseriti in un budget (che è parte del reddito, ma “esentasse”) non soggetto ad ulteriori aggravi previdenziali da parte delle imprese. Incentivi complementari al welfare aziendale più tradizionale, quello che per noi continua e continuerà ad avere un ruolo fondamentale, ma che guardando a questi nuovi strumenti dovrà rinnovarsi per rispondere alle esigenze di imprese e lavoratori.
Lorenzo Mattioli, Presidente ANIP-Confindustria e vicepresidente Fondo ASIM