La trasformazione della città oggi interessa circa il 40% delle Risorse Europee disponibili e circa l’80% della popolazione mondiale vive nelle città. Rigenerazione urbana e diminuzione del consumo di suolo sono gli asset su cui si stanno concentrando le principali azioni politiche ed economiche a livello internazionale e non solo in Italia. Lo conferma quanto previsto nelle linee guida di Habitat, nelle linee di intervento delle politiche di coesione UE 2014 – 2020 e nei Fondi Europei destinati allo Sviluppo Regionale.
Rigenerare spesso significa “mettere in opera” l’esistente, i nostri edifici, gli spazi urbani, avere cura della città.
Nasce il FMU (facility management urbano) – termine proposto dall’UNI-Ente Italiano di Normazione – come la “gestione integrata dei servizi di supporto per il funzionamento, la fruizione e la valorizzazione dei beni urbani”. Si tratta, in altre parole, del FM applicato ai beni urbani (impianti di illuminazione pubblica, fiumi, verde pubblico, infrastrutture pubbliche, ecc). Rappresenta uno dei più interessanti campi di evoluzione del facility management per il “build environment” e per l’insediamento, e risponde in maniera adeguata alle nuove politiche europee e nazionali per lo sviluppo sostenibile delle città che passa attraverso il miglioramento delle capacità tecniche di pianificazione e gestione dei centri urbani. Si tratta di ampliare il concetto di FM dalla gestione razionale dei servizi all’edificio, allo spazio, alle persone all’interno di un edificio o una struttura fino a includere la progettazione architettonica e la gestione e manutenzione di porzioni di territorio urbano. Da un lato, dunque, il FM “esce dai palazzi” per coprire anche il tessuto connettivo nel quale sono collocati (strade, spazi pubblici ecc.); dall’altro il FM “rientra nei palazzi”, perché va a cogliere e integrare la domanda residenziale, secondo il principio della valorizzazione del lifetime value del cliente.
L’estensione del concetto di Facility Management e dell’oggetto della gestione integrata da un edificio a una porzione di territorio (estremizzando il ragionamento a un’intera città) implica diversi aspetti:
- l’ampliamento del ventaglio di servizi offerti, con l’inclusione della manutenzione stradale, dell’illuminazione e degli impianti semaforici, la gestione dei parcheggi, dell’arredo urbano, i servizi destinati al segmento residenziale ecc.;
- la moltiplicazione delle relazioni, sia collaborative che competitive, con gli altri attori interessati al governo del territorio, dal lato della domanda e dell’offerta (enti locali, ex Iacp, grandi proprietari, fondi immobiliari, ex municipalizzate e sistema delle “partecipazioni locali”, imprese di costruzioni, sistema dell’offerta tradizionale, reti e consorzi artigiani, società miste ecc.);
- la capacità di proporre modelli gestionali innovativi che sappiano coniugare l’efficienza nell’utilizzo delle risorse e l’interpretazione delle esigenze, espresse e inespresse, dei residenti (siano essi famiglie o imprese).
Un cambiamento concettuale che dovrà investire anche la pubblica amministrazione al governo delle città. La logica che fino ad oggi ha guidato il pensiero e la scrittura degli appalti pubblici va ribaltata: è necessario passare dal concetto di “prestazione di servizio” al concetto di “performance” dove si valutano i risultati complessivi del lavoro e non più l’elenco delle “prestazioni”. Un passaggio che riporta al centro la soddisfazione del consumatore finale, del cittadino, nella valutazione della qualità dei servizi ed apre le porte ad un modo radicalmente innovativo di “governo” delle città. Secondo l’Osservatorio Nazionale per il Facility Management, realizzato dal CRESME, tra 2007 e 2011 il numero di bandi pubblici classificabili in questa categoria è aumentato del 52% circa, mentre gli importi a base d’asta sono aumentati quasi del 60%, passando dai 24 miliardi del 2007 ai 38,3 del 2011. Nello stesso periodo il mercato della sola esecuzione di lavori pubblici è calato del 45% in termini di bandi pubblicati e del 34% in termini di importi a base d’asta, passando dai 15,6 miliardi del 2007 ai 10 del 2011.